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    San Martino al Cimino

    "Intorno al Lago di Vico"
    By Giasone 8 anni agoNo Comments
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    Storia

    Il borgo di san Martino al Cimino vede la sua origine intorno all’XIII secolo, allorquando nella località, che sorge a circa 560 metri di altitudine, fu edificata un’abbazia ad opera dei monaci cistercensi di Pontigny.

    Architettura

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    Nei secoli successivi, il borgo conobbe una notevole espansione urbanistica, demografica ed economica grazie all’interessamento di Olimpia Maidalchini, più nota come Donna Olimpia, vedova del marchese Pamphilio Pamphilj e cognata di papa Innocenzo X, dal quale ebbe il titolo di Principessa di San Martino al Cimino. Donna Olimpia affidò al Borromini la ristrutturazione architettonica del borgo; questi si occupò dei lavori sull’abbazia cistercense (l’innalzamento dei due campanili, con la funzione aggiunta di contrafforti, è opera sua) e, a sua volta, affidò all’architetto militare Marc’Antonio de Rossi il disegno delle mura perimetrali, delle porte e delle abitazioni così come di altri palazzi civili. La realizzazione viene definita un esperimento urbanistico ante litteram: i costruttori del palazzo di corte furono gli stessi che poi acquistarono le case a riscatto, costruite mano a mano attorno ad esso: i primi esempi di costruzione pianificata. Le casette, addossate le une alle altre, ospitavano i sudditi all’interno del borgo che era dotato di tutto quanto necessitasse (spacci, osterie, divertimenti organizzati). La principessa aveva esentato i sudditi dal pagamento delle tasse, voleva essere benvoluta creando attorno a sé un nutrito stuolo di sudditi, al punto di stabilire una dote alle ragazze che dopo il matrimonio avessero scelto di rimanere nel paese. All’interno del seicentesco Palazzo Doria-Pamphili è possibile vedere una vera e propria rarità; il soffitto a cassettoni della stanza da letto di Olimpia Maidalchini ha una particolarità comune soltanto ad altri due palazzi in Europa, che è quella di potersi abbassare tramite un sistema di carrucole, per ridurre il volume totale della stanza, favorendone il riscaldamento. Di interesse architettonico sono anche le caratteristiche casette a schiera costruite all’interno del muro di cinta.

     L’abbazia

    L’edificio religioso presenta una facciata solenne ornata da un rosone e da una grande polifora gotica: ai lati si ergono due basse torri campanarie di aggiunta posteriore sormontate da cuspidi piramidali. Particolarmente armonioso è il retro della costruzione con l’abside poligonale di pietra. Sul fianco della chiesa si aprono i resti del chiostro di cui non restano che poche colonne sobrie ed eleganti. L’interno, semplice ed austero, ricorda le grandi cattedrali gotiche e le abbazie cistercensi per l’altissimo soffitto a crociera, le ampie finestre ed il colonnato con pilastri a croce.
    L’abbazia è direttamente collegata con il vicino palazzo Doria Pamphili, tramite una specie di corridoio costruito sopra un arco che collega il chiostro con la piazza retrostante la stessa abbazia.
    All’interno dell’abbazia, nella navata centrale, è sepolta Donna Olimpia Maidalchini, morta di peste a San Martino al Cimino il 26 settembre 1657 all’età di 63 anni. In memoria di un ciclista sammartinese, Salvatore Morucci (scomparso nel 1961 a seguito di un incidente stradale durante una corsa a Trani), si corre tutti gli anni nel mese di settembre il “Trofeo Salvatore Morucci”, gara ciclistica nazionale under 23 élite, su un percorso di circa 135 chilometri.

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    Donna Olimpia Maidalchini

    Olimpia Maidalchini, nota come Donna Olimpia o anche, popolarmente, la Pimpaccia (Viterbo, 26 maggio 1591 – San Martino al Cimino, 26 settembre 1657), fu una delle protagoniste della storia di Roma nel XVII secolo. Era figlia di un appaltatore viterbese, originario di Acquapendente, il capitano Sforza Maidalchini, e di Vittoria Gualterio.
    Olimpia era stata destinata dal padre al convento insieme alle sue due sorelle, in quanto erede designato doveva essere il loro unico fratello. Tuttavia rifiutò di prendere i voti e accusò di tentata seduzione il direttore spirituale incaricato di convincerla ad abbracciare la vita monastica; lo scandalo che ne seguì procurò all’ecclesiastico la sospensione a divinis, ma qualche anno dopo la stessa Olimpia, che nel frattempo si era imparentata con la famiglia del pontefice regnante, lo fece nominare vescovo.
    Olimpia si sposò quindi in giovane età con Paolo Nini, un facoltoso borghese che la lasciò vedova dopo solo tre anni di matrimonio.
    La giovane donna, di natura ambiziosa e avida, ed estremamente volitiva, scelse come secondo marito un romano di famiglia nobile ma impoverita, più vecchio di lei di 27 anni, Pamphilio Pamphili (1564-1639), che sposò nel 1612. Questi la introdusse nella società romana e, soprattutto, la imparentò con suo fratello Giovanni Battista, brillante avvocato di curia e futuro Papa Innocenzo X.
    La presenza di Olimpia (ed il suo sostegno economico) accompagnò la carriera del cognato Giovanni Battista Pamphilj fino al conclave ed oltre, perfino sul soglio di Pietro, e non fu una presenza discreta: tutta Roma, a cominciare da Pasquino, parlava e sparlava di come Donna Olimpia apparisse molto più legata al cognato che al marito, di come chiunque volesse arrivare all’ecclesiastico Pamphilj, dovesse passare attraverso la cognata, e di come costassero cari i suoi favori.
    È certo che, così com’era stata la principale artefice dell’elezione a Papa del cognato, quando questa fu conclusa Olimpia divenne la dominatrice indiscussa e assoluta della corte papale e di tutta Roma, acquisendo così grande potere e ingenti ricchezze, tanto da essere chiamata ironicamente “la Papessa”.
    La sua influenza sul cognato pontefice era tale che ogni decisione importante era comunque sotto il suo vaglio.
    Si disse che la sua beneficenza fosse sempre interessata: che la protezione assicurata alle cortigiane mascherasse una vera e propria organizzazione del traffico della prostituzione, che i comitati caritatevoli per l’assistenza ai pellegrini del Giubileo del 1650 fossero organizzati a scopo di lucro, che il Bernini, allora in disgrazia, avesse ottenuto la commessa per la fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona solo per aver fatto omaggio alla Pimpaccia di un modello in argento alto un metro e mezzo del lavoro che voleva eseguire.
    Rimasta vedova nel 1639 di Pamphilio, ricevette dal cognato papa nel 1645 le terre appartenute alla ormai chiusa (1564) abbazia di San Martino al Cimino ed i relativi edifici, in rovina, del complesso abbaziale, il titolo di principessa di San Martino al Cimino e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona. Olimpia prese a cuore il rinnovo del blasone di San Martino e assecondata da grandi architetti (fece intervenire anche il Borromini da Roma), restaurò completamente la chiesa aggiungendovi due torri come contrafforti, fece costruire un palazzo di grandi dimensioni sulle rovine delle strutture monastiche e vegliò anche sulla ricostruzione e riorganizzazione del borgo, che andava dalla porta di levante (direzione Roma) a quella occidentale (direzione Viterbo), affidando all’architetto militare Marc’Antonio de Rossi il disegno delle mura perimetrali, delle porte e delle abitazioni, non dimenticando altre strutture pubbliche quali lavatoi, forni, macelli, teatro e piazza pubblica.
    Ritiratasi da Roma dopo la morte del papa nel 1655, la curia romana tentò di rientrare almeno in parte in possesso delle ricchezze accumulate da Donna Olimpia a spese dello Stato pontificio, ma inutilmente. Anche le spese funebri per Innocenzo X furono evitate, e solo tardivamente il nipote Camillo ravveduto, fece erigere un monumento funebre a suo zio nella chiesa di S. Agnese in piazza Navona a Roma.
    Donna Olimpia morì di peste nelle sue tenute viterbesi di San Martino al Cimino nel 1657, lasciando in eredità 2 milioni di scudi.
    Ella fu sepolta sotto la navata centrale dell’abbazia di San Martino al Cimino.

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      Approfondimenti, Vico
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