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    Il sentiero delle Sirenuse

    By Giasone 4 anni agoNo Comments
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    Il sentiero delle Sirenuse

    Inquadramento Geografico della costiera Amalfitana

    Il comprensorio Amalfi, può venire descritto dalle seguenti variabili:

    Coordinate 40°38′00″N 14°36′10″E.

    Altitudine 6
    m s.l.m.

    Superficie 5,7 km²

    Abitanti 5 084[1] (30-4-2017)

    Densità 891,93 ab./km²

    Frazioni Lone, Pastena, Pogerola, Tovere, Vettica Minore

    Comuni confinanti Agerola (NA), Atrani, Conca dei Marini, Furore, Scala

    Il limite geografico nord può venire individuato con lo spartiacque dei Monti Lattari mentre il limite meridionale è completamente individuato dalla linea di costa sul mare avendo ad est il comune di Atrani e ad ovest il comune di Conca de’ Marini. Il territorio comunale e caratterizzato dalla estrema acclività e movimentazione del rUnknownilievo solcato da profonde ed importanti incisioni torrentizie con recapito diretto sulla linea di costa con direzion

    L’idrografia dell’area è caratterizzata dalla presenza delle incisioni torrentizie con scarsa o nulla geranchizzazione con recapito diretto a mare; sicuramente degno di nota e per la sua posizione interconnessa all’abitato è il torrente
    Grevone il maggiore delle incisioni torrentizie.

    Diario di viaggio

    Mercoledì 3 aprile abbiamo tenuto la seconda gita di trekking in costiera amalfitana.
    Siamo partiti dall’albergo in prima mattinata con il transfer privato che ci ha portati fino a Sant’Agatta.
    Da quie perfettamente ortogonale alla stessa (intorno nord-sud). Le quote maggiori sul livello del mare nell’ordine dei 800 m si riscontrano in corrispondenza dello spartiacque dei Lattari, che declinano a quota 0 (mare) con pendenze a volte importanti.
    ci siamo diretti verso il Sentiero delle Sirenuse, proseguendo in direzione del fiordo di Caprolla.
    L’escursione consisteva nell’ arrivare all’albergo proseguendo in direzione della Costa verso nord.
    Dopo circa un’ora o poco più di camminata purtroppo le condizioni meteo sono peggiorate a tal puntSentiero delle Sirenuseo da trovarci in mezzo al sentiero durante una vera e propria tempesta.
    A nostro parere questa situazione è stata molto importante a tutti per imparare come riuscire a gestire una situazione tale.
    Sfortunatamente una nostra compagna è rimasta infortunata con una botta al ginocchio provocata dall’urto con un sasso durante una caduta.
    Dopo ciò ci siamo trovati in una situazione di vero disagio poiché eravamo tutti completamente zuppi dalla testa ai piedi, infreddoliti con la pioggia che ci grondava continuamente addosso. Ci trovavamo a circa 20-30 minuti dall’albergo di distanza ma purtroppo abbiamo dovuto aspettare tutti che le guide, con l’aiuto di alcuni nostri compagni, riuscissero a portare la nostra compagna fino alla fine del sentiero incolume.
    La giornata si è conclusa con il rientro in albergo alle 5/6 di pomeriggio.

    Gli isolotti delle Sirenuse

    I tre isolotti delle Sirenuse fanno parte di un arcipelago, chiamato Li Galli appartenente al comune di Positano, collocato pochi chilometri a sud della penisola sorrentina. I nomi delle isole sono: Gallo Lungo, La Rotonda e Dei Briganti a nord della Rotonda.

    Gallo Lungo è la più grande delle tre ed è l’unica ad essere stata abitata fin dai tempi dei Romani: ha una forma allungata che si estende per circa 400 m con una larghezza variabile che verso il centro è di circa 100 m e verso la «testa» è di circa 200 m.

    A ovest di Gallo Lungo si trovano La Rotonda e Dei Briganti a nord della Rotonda.

    Gli isolotti

    Non è casuale l’accostamento de Li Galli con le Sirene: queste ultime rappresentano nella mitologia greca gli ostacoli e i pericoli alla navigazione ed è proprio in quel tratto di mare che le correnti portavano spesso le imbarcazioni a schiantarsi contro di esse, naufragando. Il piccolo arcipelago si trova sul cammino che collega il Circeo a Scilla e Cariddi, ossia allo stretto di Messina. I navigatori incontrano Li Galli dopo aver attraversato il golfo dei Ciclopi e superato le Bocche di Capri, un passaggio importante e difficile per la navigazione antica, soprattutto con tempo ventoso. Da Li Galli invece, i corsari potevano controllare l’ingresso o l’uscita dal

    Si vuole che il nome Li Galli derivi dalla iconografia delle Sirene nell’arte figurata greca arcaica, nella quale vengono immaginate metà donna e metà uccello: le Sirene «greche» quindi non vanno confuse con le Sirene metà donna e metà pesce della fantasia popolare, alipennute» è quindi quella della gallina o del gallo: da qui il nome Li Galli ancora oggi utilizzato.

    Nel 1848, la famiglia dei Conti di Guissi tentò di costruirvi una fattoria per l’allevamento dei conigli. Dopo un successo iniziale, nel 1873 una terribile tempesta colpì l’arcipelago e affogò tutti i conigli.

    Alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo, Li Galli rimanevano selvaggi e poco visitati, salvo per le battute di caccia alla quaglia effettuate nel mese di maggio dai numerosi cacciatori della costa.

    Li Galli hanno da sempre esercitato un grande fascino, tanto da renderle ambite da molti personaggi famosi. Nel 1924 il coreografo e ballerino russo Léonide Massine acquistò l’arcipelago, fac
    endo costruire su quelle rovine una magnifica villa che l’architetto Le Corbusier abbellì ulteriormente. La proprietà passò poi ad un altro celeberrimo ballerino russo, Rudolf Nureyev, che l’acquistò nel 1989: poco dopo la sua morte, avvenuta nel 1993, l’arcipelago è stato ceduto a soggetti terzi.

    L’arcipelago fa parte dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella.

    Secondo la leggenda, in passato vi erano tre sirene che abitavano quel tratto di mare. Quando Ulisse riuscì a passare con la sua nave, senza subire danni da parte delle sirene ma ascoltando comunque il loro canto, le tre creature mo sono ricoperti di erba e di arbusti, con una grande abbondanza di narcisirirono e si pietrificarono trasformandosi nelle isole dell’arcipelago.

    Ulisse e il mito delle Siren

    Ulisse, dopo il viaggio nell’Ade torna da Circe che mette in guardia l’eroe e lo istruisce su come dovrà affrontare i rischi che lo attendono ancora nel suo viaggio: le Sirene, Scilla e Cariddi e le vacche del dio Sole. La mattina seguente la nave di Ulisse e i suoi compagni riparte.t

    Ulisse, previdente, segue i consigli della maga e ottura con la cera le orecchie dei compagni per sfuggire al pericolo di essere uccisi dalle Sirene, e si fa legare all’albero della nave perché non vuole rinunciare ad ascoltare la loro voce. Infatti, le Sirene sono note per il loro canto ammaliatore, affascinante ma molto pericoloso per i naviganti, che promette di svelare tutto ciò che accade o è accaduto sulla terra.
    Ulisse, desideroso di conoscere e di sfidare ancora una volta la sorte, vuole udire quel canto stregato.
    Mentre i compagni remano con grande forza per oltrepassare il pericolo, ecco che le Sirene chiamano Ulisse e lo invitano a rimanere con loro.  L‘eroe vorrebbe slegarsi, ma Perimede ed Euriloco lo stringono all’albero ancora più forte. Così Odisseo e i suoi compagni passano incolumi accanto alla pericolosa isola e proseguono il viaggio verso SMito delle Sirenele Bocche; da cui il nome di uno dei galli: l’isola dei Briganticilla e Cariddi.

    La tradizione colloca l’isola delle Sirene dell’episodio narrato da Omero in un gruppo di scogli a Sudmentata peraltro da molte pellicole e cartoni animati. L’accostamento più immediato che si può fare con le sirene  della penisola di Sorrento, al largo delle Isole Sirenuse.

    Le sirene sono delle figure mitologico-religiose greche: il mito le vede nascere da Acheloo, divinità fluviale, figlio di Oceano, capace di trasformarsi in esseri fantastici e terribili, o da Forco, divinità marina, e da una delle nove Muse, Melpomene, da cui le sirene hanno ereditato la capacità di intonare canti melodiosi e ammaliatori.
    Il mito parla di tre Sirene: Partenope, Leucosia e Ligeia. Secondo Apollodoro, erano un trio canoro: una suonava la lira, l’altra il flauto, la terza cantava.

    Omero non si sofferma all’aspetto fisico delle sirene perché sicuramente era noto a tutti, anche grazi
    e a racconti mitici della tradizione orale, come le avventure di Giasone e degli Argonauti.

    Nel mito le sirene sono viste come dannose per gli uomini e il loro destino è quello di incantare gli esseri umani. Il loro canto è una promessa: se Ulisse si fermerà presso di loro, se ne andrà “sapendo più cose”. Da quello che leggiamo, il canto delle Sirene sembra una melodia che crea dipendenza in chi lo ascolta, che stordisce di dolcezza e calore, c che porta però solo morte e rovina nell’animo umano.
    Anche Ulisse è fortemente tentato, ma è costretto ad ascoltarle senza potersi fermare sull’isola. Omero le condanna: cedere a questa tentazione porta a rompere i legami famigliari e a morire.

    Crapolla e i monazeni

    Il Fiordo di Crapolla è tra le insenature più belle e nascoste della costa di Massa Lubrense, non solo per la sua importanza naturalistica ma anche per quella storica. Il suo toponimo Crapolla, deriverebbe dal tempio di Apollo, sul quale sorgono i resti dell’Abbazia di San Pietro sita nei pressi dell’insenatura.

    Poco prima di arrivare in fondo all’insenatura vi è anche una cappella che è stata dedicata al santo perché secondo la tradizione, San Pietro sbarcò a Crapolla nel suo viaggio verso Roma. Il 29 giugno di ogni anno, giorno dedicato al santo, i fedeli partono in pellegrina
    ggio da Torca fino alla Cappella di San Pietro, dove viene celebrata la Santa Messa che si conclude con i festeggiamenti sulla spiaggia tra cibo e tanto divertimento.

    Il Fiordo di Crapolla, che altro non è che una stretta e profonda spaccatura di circa 160 metri nella roccia, che allargandosi progressivamente termina con una spiaggetta piccola e suggestiva. Nella parte ad ovest dell’insenatura sono visibili i resti di una villa romana, con parti murarie in opus reticulatum e prima della spiaggetta, l’antico borgo conserva i resti di alcune cisterne romane e di costruzioni scavate nella roccia: i monazeni, strutture risalenti all’epoca romana e usate tutt’ora dai pescatori del luogo per mettere a riparo le proprie barche. La spiaggetta, tutta in ciottoli, per la maggior parte della giornata rimane in ombra, mentre il sentiero è sempre assolato e privo di ripari.

    700 gradini in pietra conducono al fiordo, e ogni 50 c’è una piastrella in ceramica che indica la numerazione progressiva.

    Torca e la chiesa di San Pietro

    Torca era parte del territorio di Sorrento fino al XIV secolo, in seguito venne inglobata dalla nuova città di Massa Lubrense, condividendone tutte le successive vicende storiche fino ai nostri giorni, salvo un incerto periodo di autonomia vissuto nel XVIII secolo. Se fosse confermata l’ipotesi della presenza sulla marina di Torca (meglio conosciuta come fiordo di Crapolla) di un famoso tempio greco dedicato ad Apollo, sarebbe anc
    he chiarito il misteome il loto, come il vino, ma è più pericoloso perché cantando, promettono di assecondare la sete di conoscenza estremro che avvolge il toponimo “Torca”. Si suppone, infatti, che da Sorrento partissero delle processioni (Theorie) composte da ambasciate provenienti dalla Grecia che percorrendo la “Theorica Via” andassero a rendere omaggio al detto Tempio. Il nome Torca in questo caso deriverebbe proprio da “Theorica” Via. Di certo il luogo della marina fu colonizzato dagli antichi romani visto che ancora oggi sono visibili resti di ville e colonne di epoca augustea. È dall’anno 1100 circa che si hanno notizie di una bellissima e ricchissima abbazia costruita sui resti del presunto tempio di Apollo e retta dai frati Benedettini Neri. Col passare del tempo, però, divenendo le coste insicure a causa delle scorrerie dei pirati, i pescatori che lì vivevano, dovettero trasferirsi in collina per una maggiore sicurezza. La stessa abbazia venne più volte depredata, tanto che già verso l’anno 500 versava in uno stato pietoso. Sulla collina vivevano già dei coloni insediati dai monaci. Coloni e pescatori appartenevano con molta probabilità adw una stessa grande famiglia visto che quasi tutti gli abitanti del tempo si chiamavano “D’Aveta”. Così iniziò a formarsi il primo nucleo del villaggio di Torca. Il 13 giugno del 1558 ci fu il più disastroso saccheggio dei pirati. Essi distrussero buona parte della penisola sorrentina, ammzzarono cittadini inermi, violentarono donne e rapirono solo a Torca 103 persone pari quasi al 40% dei suoi abitanti. Dopo questo episodio finalmente si iniziò la costruzione di una Torre di difesa. All’inizio del XVII secolo a causa di una forte tassazione imposta dal capoluogo Massa Lubrense, e per altri problemi riguardanti alcune terre demaniali, iniziò una lite tra i Torchesi e gli amministratori comunali che portò alla richiesta di separazione di Torca il 17 ottobre 1625. Un altro tentativo di separazione venne fatto anche nel XVIII secolo, e pare abbia effettivamente condotto all’autonomia comunale seppure per pochi anni. Fin dal 1799 con l’arrivo della ventata liberale francese diverse famiglie abbracciarono questa nuova idea. Frustrate successivamente dalla restaurazione Borbonica esse si unirono alla Carboneria pr
    eparando i moti del 1820 e del 1848. Con l’unità d’Italia il benessere che c’era stato in passato lasciò il posto ad una crisi economica e sociale, dando inizio al fenomeno dell’emigrazione che si protrasse con andamento incostante fino alla metà del XX secolo.

    Le torri costiere

    Le torri costiere del Regno di Napoli costituivano il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione lungo la fascia costiera del regno di Napoli. Furono costruite per arginare le frequenti incursioni saracene e corsare. Da ogni torre era possibile scrutare il mare e vedere di solito le due adiacenti, con la possibilità di inviare segnali luminosi e di fumo per tlrasmettere un messaggio o richiedere soccorso. Le torri costellano gran parte delle coste dell’Italia meridionale e sono spesso interessanti dal punto di vista architettonico; si svilupparono più o meno contemporaneamente a quelle che venivano fatte costruire negli altri stati della penisola italiana, tuttavia, essendo il Regno di Napoli la parte più protesa nel Mediterraneo e la più esposta alle scorrerie, qui si trovano una enorme quantità e varietà di esempi. Sin dall’antichità furono costruite sui litorali marittimi torri costiere con funzioni di avvistamento contro la pirateria, ma dobbiamo arrivare al X-XI secolo perché esse abbiano una connotazione più specificamente antisaracena. In diverse località dell’Italia meridionale vennero edificate torri di vedetta a difesa dei porti e delle principali città. Furono gli Angioini a pensare a un sistema permane
    nte e completo di difesa e di segnalazione con fumo e fuochi dall’alto di torri collocate in promontori e in vista una dell’altra. Tale sistema fu realizzato solo in minima parte, anche a causa dei continui cambiamenti politici e finì per passare sotto il controllo dei feudatari e delle famiglie che intendevano proteggere i propri territori, piuttosto che le popolazioni dei centri abitati. Nel 1480 nessun preavviso arrivò ai cittadini di Otranto che subirono una delle più feroci incursioni saracene della storia. Lo stato di continua belligeranza in Europa e in particolare in Italia, con le contese tra Spagna e Francia, non consentirono la riuscita del progetto. Con l’avvento del governo spagnolo al Regno di Napoli (1501), l’idea di un sistema permanente e continuo era stato ripreso, ma solo con il viceré don Pietro di Toledo ci si preoccupò veramente della fortificazione del territorio oltre che della costruzione di fortezze nelle principali città. Gli equilibri politici europei si spostavano infatti portando la Francia a nuove e preoccupanti relazioni diplomatiche e alleanze con l’impero ottomano di Solimano I il Magnifico. Pietro di Toledo emanò già nel 1532-33 delle ordinanze rivolte alle singole Università, imponendo loro di proteggersi da eventuali attacchi saraceni con la costruzione a proprie spese di torri di avvistamento marittimo. La ripresa del conflitto franco-spagnolo rallentò la realizzazione del progetto che gravava interamente sulle spalle dei singoli comuni, impoveriti dalle guerre e impossibilitati a sostenere spese. Nuovi ordini di costruzione generale delle torri marittime per conto e sotto la direzione dello Stato vennero nel 1563: in quest’anno il viceré don Pedro Afán de Ribera duca d’Alcalà emanò precise istruzioni ai governatori provinciali. Nelle disposizioni del 1563 era previsto che la costruzione delle torri era decisa dalla Regia Corte; che le fortificazioni esistenti ritenute di pubblica utilità venivano espropriate dietro indennizzo; che regi ingegneri avrebbero individuati le località adatte alla costruzione di una catena ininterrotta di torri per tutto il Regno; che le spese della costruzione sarebbe state imputate alle Università cointeressate in proporzione alla popolazione.I governatori delle provincie si mossero immediatamente con gli ordini di progettazione e di costruzione di numerose nuove torri; in realtà poche vennero effettivamente realizzate subito, a causa del criterio di ripartizione delle spese: molte università, infatti, ritenevano che lo Stato dovesse farsi carico per buona parte dell’esborso; altre lamentavano che le proporzioni erano falsate da censimenti superati e talvolta mendaci. Nel 1567 quindi si decise di imporre una tassa di 22 grana per tutti i fuochi del Regno, escludendo le città distanti oltre 12 miglia dalla costa. In tal modo nel giro di pochi anni la fabbricazione delle torri progettate si poteva dire in buona parte avviata e in parte completata. Per gli equipaggiamenti necessari, gli stipendi ai torrieri, per la manutenzione e il restauro di torri rovinate, la Regia Camera impose nel 1570 una nuova imposta di 22 grana.

    Le grotte marine

    Da queste parti di grotte ne sono state esplorate e documentate a centinaia alcune di esse sono relitti di epoche durante le quali le condizioni ambientali erano diverse. I processi di dissoluzione meccanica e chimica scavano nel tempo depressioni e cavità che possono raggiungere dimensioni anche ragguardevoli: sale, gallerie e meandri di decine o centinaia di metri. Questo processo può avvenire in due condizioni: in regime vadoso, cioè al dwi sopra della falda acquifera e quindi a scorrimento dell’acqua a pelo libero, come nei normali corsi d’acqua epigei; oppure in regime freatico, cioè al di sotto della falda, in un luogo completamente allagato, saturo d’acqua. La differenza è che nel primo caso l’acqua percolante attraverso le fratture può raggiungere dall’altro le cavità e, depositando il carbonato di calcio che ha in soluzione, formare concrezioni calcitiche. Nascono così le stalattiti, le stalagmiti e altre forme piuttosto appariscenti. Le concrezioni non si formano invece in regime freatico, dove l’acqua, allagando completamente gli ambienti, impedisce la precipitazione del carbonio di calcio. Lungo la costa dei lattari si conoscono decine di grotte che nascono e si sviluppano al di sotto del livello del mare. Nulla di eccezionale, salvo per il fatto che, pur essendo completamente sommerse, al loro interno si rinvengono molte concrezioni. Questo fatto si spiega ripercorrendo la storia geologica di queste montagne. Da una parte i sollevamenti e abbassamenti dei corpi rocciosi, dall’altra la variazione del livello marino, hanno fatto si che le condizioni ambientali variassero nel tempo. Le aree che hanno maggiormente di questo processo sono, ovviamente, quelle con maggiore vicinanza al mare. Qui si sono instaurati dei veri e propri cicli di emersione-sommersione. Nei pressi della linea di costa questi fenomeni abbandonano, e si conoscono molte grotte in cui i cicli di sommersione-emersione possono essere ricostruiti con dovizia particolare.

     

     

    Categories:
      Costiera Amalfitana, Diario di viaggio e approfondimenti, II giorno
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